Conoscere l’emicrania

In Italia sono 15 milioni le persone che ne hanno sofferto almeno una volta nella vita. Una malattia spesso ancora poco compresa e oggetto di stigma. Ecco che cosa fare se un familiare ne soffre.

L’emicrania, e in particolare quella cronica, è una malattia tra le più disabilitanti. A soffrirne maggiormente è la donna fino ai 50 anni, che di solito è la persona che maggiormente si prende cura di tutta la famiglia. Ma la sua sofferenza non è sempre compresa da chi le sta vicino: l’emicrania è spesso considerata un disturbo sopportabile, che passa da sé o, al massimo, con qualche analgesico. Invece questa malattia neurologica è paragonabile a una perturbazione atmosferica che si ripete più volte al mese e un singolo attacco può durare anche diversi giorni. Si sviluppa con una fase prodromica (caratterizzata da fatica, sonnolenza, difficoltà di concentrazione, contrattura della muscolatura cervicale, ecc.), una fase dell’aura che interessa il 30% dei pazienti (disturbi visivi, sensitivi o motori transitori), una del dolore o cefalalgica (dove il dolore pulsante e unilaterale è tipicamente accompagnato da nausea, fotofobia, fonofobia e osmofobia) che può durare fino a 72 ore e che si conclude con la fase postdromica, lo strascico dei disturbi anche a lunga durata.

A causa dell’alto impatto psicologico (interferisce con la capacità di portare avanti gli impegni generando sensi di colpa e frustrazione, aggravati dalla mancata comprensione di chi sta intorno), l’emicrania espone al rischio di sviluppare disturbi ansiosi, depressivi e del sonno, che danneggiano ulteriormente la qualità della vita.

Di emicrania è tornata ad occuparsi l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere che ha recentemente diffuso il documento “Uniti contro l’emicrania” per sollecitare un maggiore impegno da parte di istituzioni, medici e caregiver nei confronti di questa patologia che va diagnosticata tempestivamente e trattata in maniera adeguata.

«L’emicrania colpisce in particolare il sesso femminile» spiega il prof. Pietro Barbanti, presidente dell’Associazione neurologica per la ricerca sulle cefalee (Anircef) e dell’Associazione neurologica per la lotta contro le cefalee (AIC Onlus) «essendoci una correlazione tra le cicliche variazioni ormonali, in particolare degli estrogeni, e la ricorrenza degli attacchi emicranici». E precisa: «È un disturbo esclusivamente umano. Si può definire il “prezzo” pagato da un cervello troppo veloce, che converte in dolore stimoli non dolorosi, come il cambio di clima, variazioni ormonali, poco sonno oppure troppo sonno. E anche in questo la donna è penalizzata: la maggiore velocità del cervello femminile la espone a un maggior rischio di attacchi».

Prevenzione e diagnosi tempestiva

Un’indagine del Cenis, “Vivere con l’emicrania”, rivela che il 70% dei pazienti non riesce a fare nulla durante l’attacco e il 58% vive nell’angoscia di una nuova crisi. Per quasi il 90% la patologia è sopravvalutata, il 66% si dichiara incompreso e quasi la metà si sente vittima di uno stigma sociale. Nonostante ciò, l’intervento non è tempestivo: il 60% si rivolge al medico entro un anno dai primi sintomi, ma il 21% aspetta più di 5 anni. Il tempo per una diagnosi poi, è in media di 6 anni, durante i quali la patologia si aggrava ulteriormente, con aumento del rischio di comorbilità e di complicanze da abuso di farmaci. Uno stile di vita sano (dieta, attività fisica, idratazione, igiene del sonno, astensione dall’alcol) può contribuire a ridurre il numero e la gravità degli attacchi. Altra importante raccomandazione è non abusare di farmaci, attenersi sempre alle indicazioni del medico.

L’importanza del supporto di chi è vicino

L’emicrania ha un costo sociale, sia in termini di perdita di produttività, sia dal punto di vista delle relazioni. Quando in famiglia qualcuno soffre di emicrania, infatti, può esserci un impatto sui compagni, figli o genitori che spesso, però, non sanno bene come comportarsi. Perché non si tratta di prestare assistenza nel senso tradizionale del termine, quanto piuttosto di far sentire la propria vicinanza senza pregiudizi e di rispettare il bisogno di silenzio e di isolamento del familiare emicranico. Quando poi a soffrire di emicrania è la donna, cioè la caregiver per eccellenza, la situazione è ancora più complessa. L’indagine del Censis mostra come per le donne alle difficoltà sul lavoro si aggiungano disagi nelle attività sociali e domestiche nella gestione dei figli.

È necessario, quindi, che tutti in famiglia siano informati e sensibilizzati su quello che sta succedendo, per poter garantire alla paziente il supporto necessario. Utile anche condividere un “piano d’azione” (dall’assunzione dei farmaci all’identificazione di un luogo tranquillo e appartato) da mettere in atto all’arrivo dell’attacco di emicrania, così da facilitare la vita del o della paziente.