Il punto sulla patologia con Luisa Fofi, medico specialista in neurologia
Di emicrania si parla, fortunatamente, sempre di più e sempre in crescita sono i lavori degli specialisti che se ne occupano, dai quali derivano, poi, nuovi strumenti in grado di rendere meno complicata la vita dei pazienti.
«A livello mondiale esistono diversi gruppi di ricerca che si occupano dello studio della cefalea, in particolare dell’emicrania e l’Italia è uno dei maggiori produttori di lavori scientifici pubblicati su riviste internazionali inerenti a questa patologia, compagna di vita sgradevole per tanti pazienti». Lo dice Luisa Fofi, specialista in neurologia operativa, responsabile del Centro Cefalee dell’Ospedale San Pietro Fatebenefratelli di Roma. Le buone notizie per chi soffre di emicrania ci sono, a partire da nuovi farmaci, frutto del lavoro di gruppo di specialisti e ricercatori che operano in tutto il mondo.
Diversi centri cefalee conducono sperimentazioni cliniche con farmaci innovativi ancor prima della loro messa in commercio; negli ultimi anni, inoltre, si sono create diverse collaborazioni nazionali e internazionali per la creazione di database e registri di patologia condivisi, volti a unire i dati clinici dei pazienti per ottimizzarne la gestione clinica e terapeutica, provando anche a identificare eventuali fattori predittivi di risposta ai farmaci.
Le nuove terapie hanno negli ultimi anni ulteriormente incrementato l’attività di ricerca a livello mondiale, offrendo la possibilità anche di confronto durante i congressi e convegni delle esperienze tra gruppi di ricercatori.
Ci sono buone notizie! Da qualche anno abbiamo nuove armi per il trattamento del paziente affetto da emicrania, sia per quanto riguarda la gestione dell’attacco acuto, sia per la profilassi. I nuovi farmaci per la prevenzione, come gli anticorpi monoclonali “costruiti” su quello che è noto essere il meccanismo eziopatogenetico dell’emicrania, sono molto rapidi nel ridurre i giorni di emicrania al mese e offrono un profilo di tollerabilità migliore rispetto alle comuni terapie di profilassi orali, determinando una importante riduzione della disabilità provocata dagli attacchi di emicrania. I nuovi farmaci per l’attacco sembrano avere un profilo di efficacia diverso e ci danno la possibilità di poter ampliare il ventaglio terapeutico anche in coloro ai quali alcune categorie di farmaci erano precluse.
L’emicrania è un compagno di vita sgradevole, specie per chi è in là con gli anni e magari già in cura anche per altre patologie.
Vi racconto il caso di una donna di 60 anni, che ho visitato recentemente. La paziente aveva una storia di emicrania dall’età scolare, con uno stretto legame degli attacchi al ciclo mestruale. Nel corso degli ultimi 5 anni, dopo la menopausa, l’emicrania era peggiorata portandola a una sempre più crescente assunzione di antinfiammatori e antiemicranici, che usava dall’età giovanile. I farmaci non erano più efficaci e l’avevano portata a una assunzione di circa 30 antinfiammatori al mese.
Durante la visita è stata riscontrata una pressione arteriosa non ben controllata, è stato pertanto suggerito alla paziente di misurare la pressione arteriosa a domicilio più volte a settimana e durante l’attacco di emicrania; in caso di rialzo pressorio veniva consigliato una visita dal cardiologo suggerendo una categoria di anti-ipertensivo utile anche nella profilassi dell’emicrania. Al controllo dopo 2 mesi il diario evidenziava che nelle prime settimane in occasione dell’attacco di emicrania la pressione arteriosa era stata al di sopra dei limiti; era stata pertanto avviata la terapia anti-ipertensiva che aveva regolarizzato la pressione e portato a un netto miglioramento clinico con riduzione del 70% degli attacchi, ritornando a un pattern simile all’età giovanile. Gli attacchi di emicrania pertanto si erano "mescolati" ad attacchi su base ipertensiva.
Quindi di fronte a un peggioramento di un’emicrania in età più avanzata è giusto fare una diagnosi differenziale anche con altre forme di cefalea e valutare attentamente le comorbidità.